ORNETTE COLEMAN

ORNETTE COLEMAN

11 giugno, 2015

Ornette Coleman se ne è andato e ci ha lasciato in eredità un fardello pesantissimo. Per me, che ci ho lavorato dagli anni ottanta fino al suo ultimo tour, e per tutti quelli che l’hanno conosciuto la sua scomparsa oltre a una enorme tristezza ha riportato alla superficie quanto sanno tutti quelli che operano nel campo della musica avendo la musica e il suo valore formativo della persona come interesse primario. Il rapporto tra musica e libertà del quale Coleman è stato un sincero e attivo paladino è oggi un problema che sembra non trovare più spazi disponibili. Oggi più che mai il mercato trionfante ci ha abituato a considerare questa arte un semplice prodotto imponendo un livellamento verso il basso a scapito di approcci più seri e riflessivi.
Già negli anni sessanta Coleman aveva posto l’accento sul degrado valoriale in corso scagliandosi ironicamente contro l’esplosione della musica commerciale: “Si potranno organizzare migliaia di concerti di rock o di rhythm&blues: questo non cambierà il mondo, farà soltanto arricchire gli organizzatori.” E infatti il mondo non è cambiato se non in peggio anche per la musica. Lavorare sul processo creativo come faceva Coleman, indagarlo in profondità rompendo i rigidi schemi imposti dagli stereotipi e aprendo la strada a un modo libero di confrontarsi con l’universo sonoro non fa mercato. Quando ci si accorgerà che ci troviamo di fronte a un vero disastro “ecologico” assimilabile a quelli causati dalla deforestazione, dall’inquinamento e dall’utilizzo indiscriminato delle risorse naturali visto che stiamo sottoponendo le nostre menti a un processo analogo?

Mi sembra che fra gli articoli usciti il più bello sia quello scritto da Franco Fayenz che qui riporto interamente

“È morto a Manhattan all’età di 85 anni il sassofonista Ornette Coleman, uno dei più grandi innovatori nella storia del jazz. Il suo cuore ha smesso di battere ieri mattina, secondo quanto riportato dal New York Times .
Coleman era nato a Fort Worth, Texas, nel 1930. Autodidatta, all’età di 14 anni aveva già imparato a suonare il sax e a leggere e scrivere musica. All’inizio degli anni Cinquanta si trasferì a Los Angeles. Con il suo album Free jazz: A collective improvisation , pubblicato nel 1960, Coleman diede il nome a tutto il movimento Free jazz, influenzando generazioni di musicisti.
Chiunque abbia l’età per ricordare il giorno in cui sentì parlare di Ornette Coleman (sax alto, tromba, violino, compositore e direttore di celebri gruppi jazz), ora alla notizia della sua scomparsa a 85 anni, impone a se stesso un rapido flash-back e parla in prima persona. Per quanto mi riguarda ho il privilegio – si fa per dire – di ritornare a uno dei miei anni di università a Padova, il 1959, quando già mi era stata affidata la direzione di un’associazione studentesca di concerti e io, che avevo contratto fin troppo presto il bacillo del jazz, cercavo di inserire la musica afro-americana fra Bach, Beethoven e Mozart. Una sera qualcuno, reduce da un viaggio in California, mi riferì di aver ascoltato per caso, a Los Angeles, due giovanissimi musicisti neri, Ornette Coleman e Donald Cherry, quest’ultimo non ancora quindicenne che – cito le parole precise, indimenticabili – «suonano oggi la musica del futuro».
Era vero, sebbene di lì a poco l’uscita anche in Italia del primo album discografico di Coleman (Something Else per la Contemporary) e i primi confronti con altri musicisti d’avanguardia (il pianista Cecil Taylor, per esempio) consigliassero di correggere almeno un poco le opinioni. Ma nessuno negò a Coleman il titolo di fondatore del free jazz, o jazz libero, o jazz informale. Per un singolare paradosso, più che dalla musica – dal confronto con Taylor, con il pluristrumentista Eric Dolphy o con altri ancora – lo scettro arrivò a Coleman da una sua dichiarazione, questa: «Se noi rapportiamo a una certa nota un accordo convenzionale, noi limitiamo la scelta della nota seguente». In altre parole, il tema e l’assolo di un brano del nuovo jazz possono, anzi devono, potersi muovere con piena libertà in ogni direzione.
Eppure, malgrado una rapida notorietà internazionale e i dischi a suo nome che si pubblicavano a tre o quattro ogni anno, la mancanza del consenso del grande pubblico di fronte a una musica senz’altro ardua e inattesa procurarono a Coleman gravi difficoltà economiche. Non credo di rivelare nulla che l’ambiente del jazz ignori dicendo che fu un pittore di fama, Guy Harloff che oggi non c’è più, ad aiutarlo per parecchio tempo durante gli anni Settanta. Coleman si era sistemato in un piccolo appartamento in Prince Street, nella Downtown di New York e lì, grazie ad Harloff, potè comporre musica con un minimo di serenità e con lo sguardo rivolto anche a ciò che il pubblico sembrava volesse. Scrivo «for a larger audience», per un pubblico più vasto, diceva. E invece, come succede all’inconsapevolezza degli artisti di genio, inventò un’altra musica nuova, una sorta di jazz imparentato con il rock ma in una chiave del tutto personale.
È qui, e non prima, che il grande Coleman viene accettato, intervistato, perfino osannato. A memoria, mettendo insieme brandelli di tanti colloqui che ho avuto con lui, posso citare le idee che confidava ai giornalisti che considerava amici perché per primi lo avevano capito e avevano creduto in lui. La svolta avviene verso la fine degli anni Ottanta, e comunque lui sostiene, esattamente come prima, che sul problema razziale al quale il jazz è legato a filo doppio, nulla è cambiato. E quindi, a suo modo, si pone fra le forze trainanti dei neri d’America come Charles Mingus, il già citato Cecil Taylor e Duke Ellington seppure fosse incline a molti compromessi. Sostiene Coleman che mentre si avvicina la fine del «secolo breve», l’uomo nero della strada sta male come prima. Come tutte le minoranze etniche, anche l’uomo nero degli Stati Uniti tende ad applaudire chi ce la fa, e quindi il borghese nero che si è integrato nel sistema e si è inserito nel credo americano della competizione.
E ancora. Coleman, che finalmente veniva invitato a tenere concerti in Europa, aveva capito di ricevere maggiori favori nel Vecchio continente piuttosto che in patria. Qui potrei quasi virgolettare le sue parole quasi profetiche, ma ovviamente me ne astengo. Il popolo nero, ha affermato più volte sapendo di essere ascoltato a dovere, purtroppo non è in sintonia con la musica che gli appartiene e che pure desidera, e forse non lo sarà mai. Le masse sono vittime di un’altra musica, preconfezionata e destinata al consumo, che ha lo scopo di mettere insieme ragazze e ragazzi, ma non per farli conoscere davvero fra di loro, bensì per dargli una comune frustrazione, distraendoli da qualsiasi contatto con il loro vero retroterra culturale. Si tratta del rock bianco e del rhythm and blues nero, che vanno posti sul medesimo piano. Questa musica è basata su tre strumenti, il sassofono, la batteria e la chitarra, specialmente la chitarra. Se togli la chitarra i ragazzi si smarriscono, non riconoscono più l’oggetto da consumare. Si potranno organizzare migliaia di concerti di rock o di rhythm&blues: questo non cambierà il mondo, farà soltanto arricchire gli organizzatori. Non occorre altro per capire che abbiamo perduto un grande maestro, non soltanto di musica.

Franco Fayenz 12 giugno 2015

Raramente una sola persona può cambiare il nostro modo di ascoltare la musica. Ornette Coleman ci è riuscito. Già dalla fine degli anni cinquanta, quando irruppe sulla scena jazz newyorkese con un  ingaggio ormai leggendario al Five Spot, Coleman ha iniziato a insegnare al mondo un nuovo modo di concepire e acoltare musica e, se in quegli anni, il suo approccio rivoluzionario al jazz è stato oggetto di controversie e critiche oggi il suo contributo allo sviluppo della musica moderna è universalmente riconosciuto.

Ornette Coleman era nato a Fort Worth, Texas, nel 1930 e all’età di 14 anni aveva già imparato, assolutamente da autodidatta, a suonare il sax e a leggere e scrivere musica. Un anno dopo forma la sua prima band ma il clima difficile di quegli anni, caratterizzati da una forte segregazione razziale, lo spinge presto a lasciare il Texas. A 19 anni è “on the road”. Durante i primi anni cinquanta è a Los Angeles ma le sue idee risultano troppo d’avanguardia per permettergli di trovare frequenti occasioni di esibizioni pubbliche ma è in quella città che incontra un gruppo di musicisti che abbracciano il suo originale approccio al jazz. Sono i trombettisti Don Cherry e Bobby Bradford, il contrabbassista Charlie Haden, i batteristi Billy Higgins e Ed Blackwell.

Nel 1958, con l’uscita del suo album di debutto “Something Else” (Contemporary Records) risulta subito evidente che Coleman ha dato inizio a una nuova era nella storia del jazz. Liberata dalle prevalenti convenzioni armoniche, ritmiche e melodiche la sua musica, spesso ed erroneamente indicata come “free jazz”, ha trasformato radicalmente la forma artistica del jazz. Tra il 1959 e il corso degli anni sessanta Coleman realizza, in parte per la Atlantic e in parte per la Blue Note, più di quindici album subito acclamati dalla critica  e oggi considerati dei classici del jazz.  Negli stessi anni inizia a scrivere quartetti d’archi, quintetti di fiati e sinfonie basate sulla sua originale teoria armolodica. Nei primi anni settanta Ornette viaggia attraverso il Marocco e la Nigeria suonando con i musicisti locali e interpretando la complessità melodica e ritmica della loro musica attraverso is suo approccio armolodico. Nel 1975, ricercando per le sue composizioni il suono più pieno di un’orchestra, costituisce un nuovo ensemble dal nome Prime Time che include due chitarre, due bassi e due batterie e propone un mix di musica etnica, jazz, funk  e stilemi dance che dà vita a un vero e proprio nuovo genere musicale. Il decennio successivo è caratterizzato da album fondamentali quali “Song X” con Pat Metheny e “Virgin Beauty” che vede la partecipazione del leader dei Grateful Dead, Jerry Garcia.

Gli anni novanta sono caratterizzati da altre grandi lavori quali “Architecture in Motion”, primo esempio di balletto harmolodico e le colonne sonore dei film “Naked Lunch” e “Philadelphia”. Dopo la nascita dell’etichetta “Harmolodic Record” Ornette si dedica a nuove registrazioni quali “Tone Dialing”, “Sound Museum” e “Colors”. Nel 1997 il Lincoln Center Festival di New York dedica quattro giornate alla musica di Ornette e presenta la sua opera sinfonica “Skies of America”che viene eseguita dalla New York Philarmonic sotto la direzione di Kurt Masur.

Agente esclusivo Antonello Vitale: antonello@antonellovitale.it

Discografia

1958 – The Music of Ornette Coleman – Something Else!!!!

1959 – Tomorrow Is the Question!

1959 – The Shape of Jazz to Come

1959 – Twins

1959 – The Art of the Improvisers

1959 – S.O.J.: Lenox School of Jazz

1959 – Change of the Century

1959 – To Whom Who Keeps a Records

1959 – Ornette Coleman Quartet

1960 – This Is Our Music

1960 – Beauty Is a Rarething

1960 – Jazz Abstractions

1960 – Free Jazz

1961 – Ornette!

1961 – Ornette on Tenor

1962 – Town Hall

1965 – Chappaqua Suite

1966 – Who’s Crazy?, Vol. 1

1966 – Who’s Crazy?, Vol. 2

1966 – Lonely Woman Trio ’66

1966 – The Empty Foxhole

1966 – Ornette Coleman Trio

1967 – The Music of Ornette Coleman

1967 – New and Old Gospel

1967 – Head Start

1968 – The Unprecedented Music of Ornette Coleman

1968 – New York Is Now!, Vol. 1

1968 – Love Call

1968 – Ornette at 12

1969 – Crisis

1969 – Man on the Moon c/w Growing Up

1969 – Broken Shadows

1970 – Starting the Case

1970 – Friends and Neighbors

1971 – Science Fiction

1972 – Skies of America

1972 – Ornette Coleman Broadcasts

1973 – Dancing in Your Head

1973 – Break Through in Grey Room: Ornette Coleman and Musicians of Joujouka

1974 – Lonely Woman Quartet ’74

1976 – Body Meta

1977 – Soapsuds, Soapsuds

1979 – Of Human Feelings

1985 – Song X

1985 – Prime Design, Time Design

1985 – Opening the Caravan of Dreams

1987 – In All Languages

1987 – Virgin Beauty

1995 – Tone Dialing

1996 – Colors

1996 – Sound Museum: Hidden Man

1996 – Sound Museum: Three Women

1997 – Affairs

2006 – Sound Grammar (Premio Pulitzer per la musica)